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venerdì 23 luglio 2010

Bronze Age - Sardinian History - Civiltà nuragica - Bronzetti


I bronzetti
Fra i difensori delle fortezze nuragiche vi erano diverse specializzazioni: frombolieri, arcieri, lancieri, portatori d'ascia, spadaccini e portatori di pugnale. Ogni categoria aveva un ruolo particolare. Tutti questi diversi raggruppamenti sono ben raffigurati dall'arte bronzistica del I Ferro.
I bronzetti sardi sono stati oggetto di analisi da parte di Giovanni Lilliu che, iniziando dagli anni Quaranta, ha realizzato la più completa esposizione sistematica critica dei bronzi figurati sardi tuttora disponibile. La classificazione del 1966 distingue un filone linguistico geometrico (gruppo Abini-Uta) ed un filone libero o spontaneistico (gruppo barbaricino-mediterraneizante), dipendenti da due diversi livelli di committenza individuati nella componente aristocratica e nella componente popolare della struttura socio economica nuragica. Gli elementi fondamentali di questa produzione sono una spiccata originalità e la conoscenza dell'identità sarda.
Uno dei problemi più spinosi della bronzistica figurata sarda è costituito dall'inquadramento del cosiddetto “sacerdote-militare” di Vulci L 111. Questo bronzo proviene da una tomba ad incinerazione villanoviana della necropoli di Cavalupo, elemento prestigioso di un corredo ricchissimo depositato all'interno di una caratteristica urna cineraria biconica in un contesto del IX a.C. Allo stato attuale della ricerca non è possibile isolare singoli esemplari che possano convincentemente essere considerati più antichi di quest'esperienza.
Relativamente alla Sardegna, i contesti solitamente utilizzati come punto di riferimento cronologico per il bronzi figurati si rivelano inesistenti o problematici. Il discorso descrittivo è affidato quasi totalmente ad elementi di tradizione locale (veste, calzari, brassard, scudo, guanto armato). A livello simbolico è sottinteso il richiamo a modelli prestigiosi di ambito orientale: gesto della mano destra allungata e stile utilizzato per gli occhi. Questa capacità di sintesi formale e concettuale delle botteghe artigianali sarde fin dalle origini, attesta l'estrema originalità di questa produzione.
L'interpretazione del bronzetto di Vulci richiama l'esigenza ostentatoria di una committenza locale che condiziona maestranze che hanno già completamente assimilato modelli di cultura elevata, combinandoli in una nuova sintesi non riportabile a sollecitazioni esterne circoscritte. Il bronzo di Cavalupo trova riferimenti all'interno del gruppo Abini, così nominato dal celebre santuario del nuorese che, a tutt'oggi, ha reso la più grande quantità di bronzi figurati.
Abbiamo due seriazioni tipiche: i demoni-militari ed i guerrieri. Relativamente alla prima serie si possono confrontare il demone militare L 106 e gli esseri demoniaci L 109 - 110 con il famoso eroe con quattro occhi e quattro braccia L 104 e con l'analogo demone militare L 105. Si nota l’accentuarsi di un gusto decorativo, che fa pensare ad una elaborazione mitologica accanto alla celebrazione del rango.
Per un confronto è interessante esaminare la testimonianza dei cosiddetti betili con simboli oculari della fine del II millennio a.C., in rapporto alla moltiplicazione oculare nella serie dei demoni-militari. È rilevante il mutamento nel passaggio dalla astrazione della pietra alla iconografia, minuziosa e precisa, della figura dell'eroe mitico, segno di elaborazioni genealogiche precise all'interno della classe aristocratica isolana in direzione della codificazione di “eventi mitici” sullo sfondo religioso tradizionale. Il sacerdote-militare nasce all'interno di un contesto di tecnologia metallurgica assai avanzata e saldamente attestata in Sardegna almeno dal Bronzo Finale.

La nascita della rappresentazione figurata appare espressione di una società strutturalmente modificata che avverte come fondamentale il momento della riproduzione di simboli allusivi di uno status; in altri termini, una società in cui la produzione figurativa è finalizzata alle necessità politiche e celebrative di un gruppo o classe dominante. Non a caso il bronzo di Cavalupo si inserisce all'interno di un sepolcro villanoviano in un rapporto ideologico di altissimo livello con le nascenti aristocrazie tirreniche.
Nel Bronzo Finale la Sardegna è al centro di interessi commerciali da parte di aree sviluppate dell'oriente mediterraneo. Immediatamente collegabile a questa produzione ”alta”, si registrano l’apparizione della seriazione delle navicelle allusive alla sfera del commercio-pirateria e le straordinarie elaborazioni araldiche. Il quadro sicuro che è possibile delineare è il seguente: una produzione “orientale” ristretta è documentata in Sardegna alla fine dell’età del Bronzo, ma non può storicamente essere definita come fenicia visto che almeno due secoli separano questa produzione dall'avvio delle esperienze figurative sarde.
La tendenza ad accostarsi quanto più possibile al dato cronologico del bronzo di Cavalupo crea notevoli problemi sia a livello stilistico che cronologico della produzione bronzistica figurata. Le esperienze orientalizzanti sarde sono effettivamente meglio comprensibili se rapportate al quadro etrusco della fase orientalizzante; il panorama si completa con la forte incidenza di elementi orientalizzanti greco-etruschi riscontrata da Lilliu nella bronzistica isolana e con gli strettissimi rapporti intercorsi tra gruppi aristocratici sardi e tirrenici intorno all’VIII a.C. Non si pretende certo di affermare che i Levantini siano stati completamente estranei alla diffusione dei motivi orientalizzanti nell'isola, considerato anche che valenze fenicio-cipriote sono presenti nella bronzistica figurata isolana.
Ē plausibile che l'aspetto “antico”, come è definito da Lilliu, dell’orientalizzante sardo, discenda dalla familiarità con il bagaglio decorativo e con il gusto da tempo circolanti nell'isola e legati alla presenza orientale, a valenza prettamente Cipro-micenea, anatolica e siriana, riscontrabili in Sardegna allo scadere dell’età del Bronzo. In realtà il problema delle origini è forse un falso problema; la prospettiva corretta pare quella di registrare e valutare la formazione di una società tecnicamente avanzata e strutturalmente complessa nel momento in cui compie la scelta politica ed ideologica della rappresentazione figurata; una società in grado di disporre di artigiani e di botteghe capaci di rielaborare in forma estremamente originale fermenti stilistici e iconografici, motivi culturali, che fin dall’età del Bronzo Finale dovevano essere ampiamente circolanti nell'isola.
Ritengo legittimo postulare che tali botteghe si avvalessero della presenza e della conoscenza di artigiani stranieri, a riprova del grado di articolazione della società proto-sarda. I gruppi sociali che costituiscono la committenza della bronzistica si riconoscono nella tematica eroica, principesca e sacerdotale della gestione del rituale. Non esiste, al di fuori della committenza aristocratica, classe diversa che abbia diritto alla rappresentazione.
La società sarda percorre un cammino retto e coerente che approda allo stile di vita delle grandi famiglie. Tale capacità di concentrazione di intenti celebrativi e propagandistici in questa iconografia è forse riportabile ad un suo collegamento con un “fatto mitico” puntuale, nelle gesta di un “Dio-eroe” legato ad un gruppo o una famiglia. Si individuerebbe l'esistenza di un gruppo che si autocelebra.
I gruppi a due figure appaiono raramente nella bronzistica sarda e soltanto in un caso, con il tema della figura femminile seduta che tiene in grembo una figura maschile, l’iconografia è ripetuta tre volte, consentendoci di ipotizzare l'esistenza di un prototipo illustre e ben divulgato, legato alla sfera del culto. La “Madre dell'ucciso” , la “Grazia” e la “Madre con bimbo in grembo” , sono prodotti di importantissimo valore perché, nel riproporre la medesima iconografia con rendimenti stilistici e motivazioni concettuali profondamente diversi, offrono la possibilità di rendere evidenti le differenze fondamentali, di valore non soltanto estetico-stilistico, ma concettuale.
Dal VI a.C. si registra il passaggio nella sfera cultuale salutifera: è impressionante osservare come “l'offerta della gruccia” L 62 non costituisca altro che l'esito della seriazione tipologica del “Capotribù”. Soprattutto colpisce la nuova veste concettuale, simbolica; al “Capotribù” di Uta, rappresentante di una casta ancora aristocratica e guerriera, si sostituisce un modesto “borgomastro” che affida al tema figurativo non la casta né il rango, ma la soddisfazione di appartenere ad un gruppo umano meritevole di qualche distinzione, il gruppo degli uomini “miracolati”.
Le caratteristiche riscontrate accomunano quest’ultima seriazione sarda ad una produzione di ambito etrusco-italico proveniente da santuari e stipi votive. Il predominio iconografico dell’orante-offerente, abbinato ad un mutamento di culto in direzione della dimensione del risanamento e del miracolo, autorizzano a ritenere per la situazione sarda il parziale allineamento ad un fenomeno che risulta generalizzato sul continente intorno V a.C. Ci si riferisce all'esplosione della religiosità popolare che orienta il culto in senso sanatorio.
È plausibile tentare di definire la sopravvivenza di una cultura indigena “positiva” nell’evolversi dei quadri culturali isolani al di là del consolidamento cartaginese e del profondo trauma che ha investito l'isola dopo la conquista punica e la stabilizzazione del dominio straniero, certo dovuto ad una radicale risistemazione delle risorse e dei mezzi produttivi, che si concluderà nel nuovo assetto che assumerà la Sardegna: deposito granario e serbatoio di manodopera schiavile e di mercenari.

Nelle immagini i bronzetti al museo di Cagliari e un collage di personaggi da "Sculture della Sardegna Nuragica" di Lilliu, 1966.

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