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mercoledì 12 gennaio 2011

Vino nella preistoria


Una cantina vecchia di 6000 anni. La scoperta è di un gruppo di archeologi impegnato in uno scavo in Armenia, finanziato anche dalla National Geographic Society. Le stesse popolazioni preistoriche che vivevano in quella che oggi è l'Armenia, avevano avviato una produzione vinicola all'interno di una caverna in prossimità di un sito funerario, forse un rito dedicato ai defunti e che probabilmente, credono gli archeologi, veniva effettuato a piedi nudi.
Nella medesima grotta in cui è stata rinvenuta una scarpa in pelle eccezionalmente conservata, risalente a 5mila 500 anni fa, gli archeologi hanno scoperto una pressa per l'uva, alcuni recipienti per la fermentazione e la conservazione del vino, diverse coppe e persino resti di graspe, semi e bucce.
La presenza di questi resti era stata individuata già nel 2007, quando presero il via gli scavi diretti da Gregory Areshian della University of California di Los Angeles (UCLA), e dall'archeologo armeno Boris Gasparyan, nel complesso di grotte Areni-1. "Si tratta della più antica e affidabile testimonianza di produzione vinicola - ha affermato l'archeologo Gregory Areshian -. Per la prima volta disponiamo di un quadro archeologico completo, risalente a 6mila 100 anni fa, di questo tipo di attività".
Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista 'Journal of Archaeological Science', il vino sarebbe stato custodito in giare e l'ambiente fresco e asciutto della grotta avrebbe fatto il resto. Nel settembre 2010 gli archeologi hanno completato lo scavo di quello che doveva essere un tino, profondo una sessantina di centimetri, sepolto accanto a un recipiente di argilla, lungo circa un metro, dai bordi alti, "manufatti che indicherebbero - spiega Areshian -, che gli antichi vinificatori dell'Età del Rame avrebbero schiacciato l'uva in modo tradizionale, ossia con i piedi. Dal recipiente d'argilla il succo d'uva sarebbe poi defluito nel tino, e lì sarebbe stato lasciato a fermentare".
Per verificare che la vasca e le anfore custodissero effettivamente del vino, gli archeologi hanno sottoposto ad analisi chimiche dei frammenti di ceramica, che il radiocarbonio ha datato fra il 4100 e il 4000 a.C., in cerca di residui. Le analisi hanno rivelato tracce di malvidina, un pigmento vegetale appartenente alla famiglia dei flavonoidi a cui si deve in gran parte il colore rosso del vino. "La malvidina è il miglior indicatore chimico a noi noto della presenza di vino" ha aggiunto l'archeologo.

L'esperto di vino nell'antichità, Patrick E. McGovern, archeologo biomolecolare alla University of Pennsylvania Museum di Philadelphia, concorda sul fatto che il ritrovamento testimoni una produzione vinicola. Un elemento che avrebbe supportato maggiormente questa ipotesi sarebbe stato il ritrovamento di tracce di acido tartarico, un altro indicatore della presenza di vino: la malvidina, spiega lo studioso, è presente infatti anche in altri frutti dell'area, come la melagrana.
"Si tratta di una scoperta particolarmente significativa - spiega McGovern - perché suggerisce l'esistenza di una produzione vinicola su larga scala, che a sua volta implica il fatto che la vite fosse già stata domesticata. Questo perché la vite domestica (Vitis vinifera sativa), produce un maggior numero di grappoli rispetto a quella selvatica (Vitis vinifera silvestris), e quindi sono necessarie strutture più ampie per la loro lavorazione". Secondo l'esperto, l'uva di Areni avrebbe avuto un gusto simile a quello delle antiche varietà georgiane indicate come 'antenate' del Pinot Nero.


"Probabilmente - ha affermato Gregory Areshian - alla base della produzione di vino era legata a rituali in cui si beveva per onorare i defunti. Attorno alle strutture per la produzione di vino sono state rinvenute una ventina di sepolture. C'era un cimitero, e la produzione di vino nella grotta era legato a questo aspetto rituale, non a caso attorno e all'interno delle sepolture sono state rinvenute coppe per bere. I prossimi scavi ad Areni saranno rivolti all'individuazione di ulteriori legami fra le sepolture e la produzione vinicola".
"La coltivazione della vite - ha concluso l'archeologo - annuncia l'avvento di nuove e più sofisticate forme di agricoltura. L'uomo ha dovuto imparare il ciclo di crescita delle piante, ha dovuto capire quanta acqua fosse necessaria, come impedire che i funghi danneggiassero il raccolto, e cosa fare con gli insetti che vivono sui grappoli. La cantina getta nuova luce sulle prime fasi dell'orticultura, su come nacquero i primi frutteti e vigneti”.

http://www.repubblica.it/esteri/2011

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