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domenica 10 marzo 2013

Antichi Popoli del Mediterraneo a Trento. La civiltà nuragica incontra il circolo Dessì e il Liceo Rosmini.

Trento. Incontro con il Circolo Sardo Dessì e il Liceo Rosmini
di Pierluigi Montalbano


Febbre alta…difficoltà respiratorie…notte in bianco. Con queste premesse, prima dell’alba, mi accingo a salire sull’aereo che mi porterà a Bergamo, dove mi attendono gli amici del Circolo Sardo Dessì di Trento, organizzatori di un incontro culturale nella loro città. Qualche settimana prima, il loro responsabile, Salvatore Dui, mi contattò per invitarmi, in qualità di relatore, a due convegni dedicati al mio libro Antichi Popoli del Mediterraneo, nel quale racconto i traffici commerciali che interessarono i porti e gli approdi di quelle genti che nell’età del Bronzo organizzarono una koinè internazionale molto vicina all’attuale globalizzazione, almeno in termini di trasferimento di idee. Mia moglie Rita, sempre al mio fianco in queste occasioni, mi conforta e provvede a caricare nella borsa tutto il necessario affinché la mia permanenza a Trento sia gradevole: fazzoletti, aspirine, collirio e via discorrendo. Affronto il gate d’imbarco privo di scarpe, cinta e soprabito, con l’aria di chi si chiede se riuscirà a superare indenne le prossime ore. Mi lascio trasportare dalla fila che conduce verso il bus, con il viso ben coperto da una sciarpa che Rita mi ha avvolto con cura. L’aereo decolla in orario e dopo qualche minuto il primo sole illumina il finestrino della mia fila. Siamo sul manto di nuvole bianche che ci accompagnerà fino all’atterraggio. In aereo il personale di bordo transita di continuo offrendo, dietro lauto compenso, biglietti gratta e vinci, sigarette elettroniche, bevande calde, fredde, tiepide, alcoliche e naturali, profumi, giocattoli e altri prodotti che fanno di questa compagnia un vero e proprio bazar volante. Mi addormento teneramente sulla spalla di mia moglie. Il sussulto del veicolo che tocca la pista giunge all’improvviso, interrompendo un sogno che dopo qualche istante svanisce dalla memoria. Siamo fuori, e l’auto di Salvatore è pronta a ospitarci, confortevole e riscaldata. Dopo le presentazioni, inizia il viaggio lungo la Serenissima, una strada a sei corsie nella quale è difficile vedere l’asfalto, occupata integralmente da auto che sfrecciano oltre qualunque limite consentito in Sardegna. Dopo un’oretta di viaggio, nei pressi di Verona, svoltiamo verso la valle dell’Adige, direzione Brennero. Il paesaggio, e il traffico, mutano completamente. Alte montagne innevate ci circondano e l’aria è leggera. Ci fermiamo per un caffè e approfitto della pausa per la dose di aspirina che mi aiuterà a respirare fino all’inizio del convegno. Giunti a Trento, sono sorpreso dalla bellezza della piccola cittadina incastonata nelle Alpi, sotto il Monte Bondone. Traffico scorrevole, molte biciclette, clima mite e gente che passeggia, conversando amabilmente come se la tranquillità si fosse impadronita di questo borgo. L’aria pura porta buoni effetti e riesco a respirare con le labbra chiuse. Il liceo Antonio Rosmini, nel quale parlerò alle 11.30, è in centro e possiamo passeggiare nelle stradine con il gruppo di amici sardi, ormai integrati nella città alpina. Mia moglie s’informa sulla città mentre, come mia abitudine, io ripasso mentalmente il discorso e cerco di trovare la giusta concentrazione. Il mal di testa non mi aiuta ma l’effetto dell’aspirina è ancora buono. In perfetto orario ci accomodiamo in sala, al primo piano dell’edificio. L’istituto ha una lunga tradizione formativa e culturale. Edificato alla fine dell’800, come Istituto Magistrale, ha formato generazioni di maestri, professori e professionisti della società trentina.

Dopo una sperimentazione autonoma quinquennale, è seguita nel 1993 l’istituzione del Liceo socio-psico-pedagogico, e nel 1997 la costituzione di altri due indirizzi: Il Liceo delle scienze sociali e il Liceo Linguistico, con una intensificazione delle iniziative di scambi culturali con scuole dei paesi europei ed extraeuropei. L’aula magna, arricchita da un bel pavimento di legno e dotata di poltroncine rosse che la rendono accogliente e simile alla platea di un teatro, è dotata di tutti gli accorgimenti tecnici per la buona riuscita dell’evento: microfoni, computer, maxi schermo e videoproiettore. Le classi si accomodano ordinatamente occupando l’intero numero dei posti a sedere. Un gruppetto di amici del circolo dei sardi prende posto in un lato della sala. Sono felice per la loro presenza, mi aiuta a sentirmi a casa. Mentre un sottofondo musicale con brani di Maria Giovanna Cherchi e Peppino Mereu si diffonde nella sala, la coordinatrice, Miria Manzana, presenta l’incontro ai ragazzi e passa la parola a Salvatore, organizzatore della giornata. Dopo i saluti e una breve presentazione, l’amico Dui legge un brano di Grazia Deledda, accolto con emozione dagli studenti. Le parole della grande scrittrice sarda colpiscono sempre l’animo, e conveniamo tutti sulla scarsa considerazione che nelle scuole si fa di questo mostro sacro della letteratura italiana. E’ il momento di iniziare il “viaggio nella storia” e proietto le prime immagini, relative al periodo in cui terminò l’ultima glaciazione. Qualche cenno sull’introduzione dell’addomesticamento di piante e animali, due parole sull’ossidiana e sulla ceramica cardiale, e un riferimento al credo religioso legato alla dea madre. I ragazzi sono attenti, abbagliati dalle immagini delle città minoiche Cnosso e Akrotiri. Descrivo l’eruzione del vulcano Santorini, il declino dei minoici, le vicende legate ai micenei e, brevemente, espongo la situazione dei grandi imperi dell’età del Bronzo: ittiti, mitanni, assiri ed egizi. Il racconto della guerra di Qadesh e di quella del Delta del Nilo, combattute dai faraoni Ramesse II e Ramesse III rispettivamente nel 1274 a.C. e 1175 a.C. colpisce l’immaginazione dei ragazzi. La relazione si conclude con una panoramica sul mondo nuragico, con cenni sui nuraghi, sulle tombe di giganti, sui pozzi sacri e sui bronzetti, navicelle comprese. Al termine studenti e insegnanti sono visibilmente soddisfatti e mi regalano un lungo applauso che ripaga ampiamente il viaggio condizionato dalle mie cattive condizioni di salute. Possiamo andare a riposare per preparare l’incontro della serata, presso il Circolo Sardo Dessì, nel cuore della città.

Alle 18.00 il presidente, Salvatore Dui, apre la sala e gli amici del circolo si accomodano per ascoltare ciò che ho preparato per questo incontro: un tuffo nel lontano passato, immersi in un mondo, quello nuragico, nel quale la collaborazione e le capacità tecnologiche dei sardi garantirono benessere e pace per quasi 1000 anni. In silenzio, con le luci abbassate, inizia la proiezione delle immagini legate ai commerci di ossidiana, rame e argento, materiali facilmente reperibili nella Sardegna antica. Il racconto sulle genti di Monte Claro è affascinante, con l’edificazione di muraglie megalitiche e la creazione di un repertorio di ceramiche insuperabili per bellezza. Poi l’avvento del campaniforme e l’inizio della civiltà nuragica, con la realizzazione di qualche centinaio di nuraghi a corridoio, posti a coronamento delle vallate antropizzate per le buone caratteristiche di vivibilità offerta: ricchezza d’acqua, di selvaggina, di zone coltivabili e facilità di controllo dei sentieri che conducevano alle vallate adiacenti. Dopo la descrizione delle caratteristiche di quella tecnica di edificazione che consentì di realizzare capillarmente sul territorio edifici, sepolcri e pozzi, il discorso si sposta sul periodo di passaggio fra Bronzo e Ferro, un momento in cui non si costruiscono più nuraghi, alcuni sono trasformati in templi, e inizia la fase delle sepolture a pozzetto, della proliferazione dei pozzi sacri e della miniaturizzazione, ossia quella particolare fase in cui i nuragici decisero di autorappresentarsi nei bronzetti. Una comparazione fra bronzetti e maschere del carnevale sardo chiude la serata, visibilmente gradita ai partecipanti. Tutti insieme, al termine, abbiamo concluso la chiacchierata in un locale che ha arricchito il processo di socializzazione innescato la mattina. Dopo una notte trascorsa in albergo, e le dosi di aspirina che puntualmente Rita mi ricordava di assumere, la mattina seguente decidiamo di visitare la città. Uno strudel di mele e un buon caffè consumati in centro sono le giuste premesse prima della passeggiata. La prima meta che si pare agli occhi è il duomo, una imponente costruzione di impronta romanico lombarda con influenze gotiche, che sorge sulla piazza omonima, sui resti di una chiesa cimiteriale paleocristiana, dove fu sepolto San Vigilio martire. L’edificio è considerato fra i più importanti monumenti sacri dell’area alpina. I lavori di costruzione iniziarono verso la metà dell’XI secolo, con il Vescovo Udalrico II che fece costruire la cripta e rinnovare l’altare maggiore. I lavori proseguirono nel XII secolo con il Vescovo Altemanno. Nel suo complesso la costruzione fu completata dal vescovo Federico Vanga (1207-1218), su progetto del maestro comacino Adamo d’Arogno. Per ragioni di sicurezza, la cupola originaria del Duomo fu rifatta alla fine dell’Ottocento, su disegno dell’architetto Nordio. La facciata che si ammira dalla Fontana del Nettuno, presenta lo stupendo rosone del transetto, che rappresenta la ruota della fortuna, una bella loggetta, e la porta dei leoni. Sulla facciata principale campeggia un grande portale d'ingresso, con un affresco del Trecento e un eccezionale rosone con Cristo in trono, sempre del Trecento. Il campanile, romanico, è sormontato da un cipollone barocco. L'interno, gotico e a croce latina, presenta tre navate divise da quattordici pilastri. L'altare maggiore è barocco del 1739. La Cappella del Crocifisso (1682) contiene il crocifisso ligneo, opera di Sisto Frey, ai cui piedi erano pubblicati i decreti del Concilio. Dei monumenti addossati alle pareti, è importante quello di Roberto Sanseverino, condottiero dei Veneziani, affogato nell'Adige dopo la disfatta di Calliano (1487).

Nell'altra navata vi è il semplice deposito mortuario del più grande vescovo trentino, illustrato dal quadro sovrastante, in cui San Vigilio presenta il Clesio alla Vergine. Nei due bracci del transetto, ci sono i resti degli affreschi pre-rinascimentali. In fondo alla navata sinistra si nota la statua duecentesca della Madonna degli annegati. Sotto la basilica, gli scavi condotti negli anni 1964-1977, curati da Monsignor Iginio Rogger, hanno riportato in luce e reso accessibile al pubblico i resti della basilica paleocristiana di cui si era perduta memoria. Vi si accede dall’angolo del transetto settentrionale, attraverso una delle scale laterali della cripta che è stata demolita nel 1739. Per la visita sotterranea bisogna percorrere tutta l’area sottostante fino a trovarsi nella zona dell’antica porta, al cui esterno si vede ancora la pavimentazione originaria dell’atrio, che probabilmente aveva forma di quadriportico. Un rialzo di tre gradini portava dall’atrio alla soglia della basilica. Le porte d’ingresso erano tre, sulle due laterali si sono sovrapposte le fondamenta della costruzione sovrastante mentre quella centrale è praticabile e presenta ancora i suoi stipiti originari. Dall’ingresso la basilica risulta tappezzata da una rete di tombe terragne, le lastre di pietra che le ricoprivano formavano il pavimento e solo poche portavano delle iscrizioni. I resti di epigrafi rinvenute sono ora esposti sui lati dell’aula. La larghezza della basilica paleocristiana non corrisponde a quella che ora vediamo nell’aula maggiore sotterranea, ma comprende anche lo spessore dei blocchi che furono murati per sorreggete le fondamenta della chiesa superiore. Le sepolture vescovili comprendono due sarcofaghi collocati sul lato settentrionale dell’aula. Nei loculi sotto il piano pavimentale, riposano le spoglie di altri vescovi di Trento. Ai lati estremi dell’aula s’intravvedono i muri laterali della basilica paleocristiana, che aveva una larghezza di 14 metri e una lunghezza complessiva di circa 50 metri, e formava un’unica navata con copertura a capriate. La quota pavimentale corrisponde al piano ora ripristinato. Nel Medioevo, per volere di Udalrico II, il pavimento fu alzato di circa 30 centimetri, e lo spazio fu diviso in tre navate con una doppia fila di pilastri quadrati, dei quali si notano ancora le basi. Attraversando la navata della basilica paleocristiana si può osservare ciò che rimane dell’antica pavimentazione a mosaico che termina con fascia decorativa al piede di un gradino in pietra rossa. Il piano rialzato era recintato con parapetti in pietra, trattenuti da pilastrini infissi nelle apposite incassature quadrate ancora visibili. Sul suo asse centrale di esso dovevano trovarsi il sepolcro del Santo, l’altare e il banco presbiteriale a semicerchio. Fu inserita in profondità una cripta, asportando tutta la zona pavimentale. Sopra la cripta fu eretto un presbiterio molto rialzato, con una larga scala anteriore, di cui rimane qualche traccia. Anche le due basi cruciformi dei sostegni anteriori del presbiterio sono ancora visibili. A destra e a sinistra del presbiterio romanico, in corrispondenza alle due navate laterali, si trovavano le scale di accesso alla cripta (oggi quasi totalmente sommerse dalle fondazioni della chiesa superiore. La porzione centrale dell’antica cripta custodisce nell’abside i resti di un antico altare e ciborio, dedicato ai Martiri Anauniesi. Sotto l’odierno altare maggiore, si estende uno spazio quadrato dove furono rinvenuti i resti di un basamento di altare. E’ questo il posto in cui Altemanno portò i resti di S. Massenza, che la leggenda posteriore caratterizzò come madre di S. Vigilio. Nella parte anteriore della cripta sono disposte, lungo le pareti laterali, le pietre tombali di due principi vescovi, Alberto di Ortenburg (1363-1390) e Giorgio Hack (1445-1465).
Durante la visita mi rammarico per aver lasciato a casa la macchina fotografica, ma Rita suggerisce sia un segno del destino, buona occasione per ripetere il viaggio e prolungarlo di qualche giorno per visitare il territorio. L’ultima sosta prima della partenza la dedichiamo alla Porta Veronensis, nella piazza dove sorge la Basilica. Costituiva l’ingresso monumentale della città romana sul lato meridionale e fu costruita verso la metà del I sec. d.C., probabile trasformazione di una porta precedente. Da qui partiva la principale strada interna a Tridentum, diretta verso nord. La porta era a due fòrnici (passaggi), uno pedonale e l’altro per i carri, con pianta rettangolare e cortile interno (cavedio). La facciata esterna, in calcare bianco locale, era fiancheggiata da due torri poligonali con 16 lati, murature in mattoni rivestite da lastre in calcare rosso, scala a chiocciola all’interno. Ciò che rimane oggi riguarda la parte occidentale della porta in quanto quella orientale è stata inglobata nelle fondazioni della Torre Civica, eretta dopo il 1000. Si può riconoscere la parte del basamento del primo fòrnice, e il suo prospetto esterno con gli incassi nei quali scorrevano leporte con chiusura a saracinesca.

La facciata interna della porta doveva essere decorata da una statua di cui rimane il piedistallo in calcare rosso e da una fontana come documenta un lastrone in pietra bianca con canale e foro di scarico. E’ poi visibile l’impianto della torre occidentale che la fiancheggiava, con la soglia d’entrata, l’alloggiamento dei cardini e i primi due gradini in pietra della scala a chiocciola; da qui si diparte verso ovest la cinta muraria della città, in ciottoli e malta, a cui, più tardi (III sec. d.C.), ne venne addossata all’esterno una seconda costituita da pietre squadrate e malta più consistente. Si è certi dell’esistenza di un piano superiore della porta, come suggeriscono alcuni frammenti architettonici rinvenuti durante gli scavi, riferibili sia al prospetto esterno sia a quello interno; è invece solo ipotizzabile la presenza di un secondo piano. Usciti dal sito ci dirigiamo verso l’albergo, dove giungiamo bagnati come pulcini perché sprovvisti di ombrello in quanto non abituati ai repentini cambi climatici della zona. Sarebbe stato interessante visitare il Castello del Buonconsiglio, il più vasto e importante complesso monumentale della regione Trentino Alto Adige. Dal secolo XIII fino alla fine del XVIII residenza dei principi vescovi di Trento, è composto da una serie di edifici di epoca diversa, racchiusi entro una cinta di mura in una posizione leggermente elevata rispetto alla città. Sarà una buona occasione per visitare nuovamente questa città, e incontrare gli amici sardi che ci hanno ospitato per questo bel week-end.

Immagini di:
Duomo: www.moldrek.com
Porta Veronensis: Università di Trento
Cripta basilica: www.catinabib.it
Castello del Buonconsiglio: www.skyscrapercity.com

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