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venerdì 20 settembre 2013

Fenici

Fenici
di Maurizio Feo



LE GRANDI CIVILTA' URBANE  NEL IV- III MILLENNIO
La porpora di Tiro
“La porpora di Tiro si è dimostrata la migliore di tutte in senso assoluto; i molluschi sono raccolti nei pressi della riva e tutto ciò che è necessario per procedere alla tintura è facilmente reperibile. Sebbene il gran numero di laboratori di lavorazione della porpora renda la città poco gradevole per viverci, d'altra parte ciò la ha resa molto prospera, grazie alla suprema abilità dei suoi abitanti”.
Strabone, XVI, 2, 23, I a.C. - I d.C.
Gli operai fenici
Salomone si assicura per la costruzione del tempio gli operai fenici, promettendo qualunque compenso a Hiram re di Tiro:
“Io ti pagherò, per il salario dei tuoi operai, tutto quello che domanderai, poiché tu sai che non vi è alcuno tra noi che sappia tagliare il legname come i Sidonii”
Antico Testamento, I Re, 5, 6
I Fenici e l'invenzione dell'alfabeto
“La gente dei Fenici ha la grande gloria di avere inventato le lettere dell'alfabeto”.
Plinio il Vecchio, Storia naturale, V, 13, 67, I sec. d.C.
“Questi Fenici giunti con Cadmo (in Grecia) [...] introdussero presso i Greci [...] molte conoscenze, tra cui le lettere dell'alfabeto, che, come credo, i Greci non avevano prima”.
Erodoto, V, 58, V sec. a.C.
“Contro coloro che sostengono che i Siri sono gli inventori delle lettere dell'alfabeto e che i Fenici, appresele da questi, le trasmissero ai Greci, [...] (i Cretesi) dicono che i Fenici non le inventarono dall'inizio, ma soltanto cambiarono la forma dei segni”.
Diodoro Siculo, V, 74, 1, I sec. a.C.
Maestria degli artigiani fenici che costruiscono il tempio di Gerusalemme
“L'intera costruzione fu portata avanti con grande perizia, con l'uso di pietre tagliate così precisamente e connesse tra loro così accuratamente [...], che all'osservatore esse apparivano senza alcuna traccia di scalpello o di altri strumenti”.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, VIII, 69, I sec. d.C.
LA CIVILTA' MINOICA AL SUO APOGEO, 1600-1450 a.C.
La scrittura: dai pittogrammi all'alfabeto
L'invenzione della scrittura, in stretto rapporto con la formazione delle città, rappresenta un momento fondamentale nello sviluppo delle civiltà umane.
Il modo più semplice per trasmettere un messaggio consiste nell'accostare disegni, ciascuno dei quali corrisponde ad un oggetto o ad una azione: i pittogrammi. È un sistema utilizzato presso varie culture "primitive", ma che non riproduce ancora il suono della lingua parlata. Dai pittogrammi si sviluppò la scrittura ideografica, che nacque in Cina intorno al 2500 a.C. L'ideogramma non è che un disegno molto stilizzato, corrispondente ad una parola; ma per rendere in questo modo tutti gli elementi della lingua occorrono complessi artifici e molti segni, tanti quante sono le parole (gli ideogrammi cinesi di uso corrente sono 6000). Si capisce subito che questo è un sistema complesso da utilizzare e molto difficile da apprendere. Un sistema diverso fu usato per la scrittura geroglifica e cuneiforme. 

Queste scritture seguono un sistema ideografico-fonetico, cioè integrano gli ideogrammi con elementi fonetici: i segni non si collegano solo a singole parole, ma anche ai suoni che le compongono (fonemi). La scrittura egizia prese a indicare parole di significato diverso, ma di suono uguale o simile, con lo stesso ideogramma (geroglifico); alcuni geroglifici persero del tutto il loro valore ideografico originario, per esprimere solo un gruppo di consonanti (la lingua egizia non indicava le vocali). A questo si aggiunse l'impiego di alcuni segni come complementi fonetici (per precisare il valore fonetico di un altro ideogramma), e come determinativi (non si leggono ma indicano in quale categoria va inserita la parola). Il sistema in uso in Mesopotamia, da cui era nato quello egizio, si distingueva per avere schematizzato i segni pittografici in tratti a cuneo (da cui la definizione di cuneiforme). I segni mesopotamici indicavano sillabe, poiché nella lingua sumera le vocali avevano la stessa importanza delle consonanti. Nonostante questi sistemi fossero più semplici di quello ideografico, utilizzavano ancora varie centinaia di segni e richiedevano un lungo studio; fu così che nel II millennio si tentò di superare queste difficoltà procedendo ad una scomposizione sistematica delle parole in elementi più semplici. A Creta, tra il 2000 e il 1500 a.C. si passò da una scrittura "geroglifica" (che non ha nessun rapporto con quella egizia) alla "lineare A", una scrittura prevalentemente fonetica, finora non decifrata, in cui i singoli segni hanno valore sillabico. Dopo il 1500, nel mondo miceneo comparve la "lineare B", una scrittura sillabica usata per rendere una forma arcaica di greco, decifrata da M. Ventris nel 1952. Tuttavia i sistemi sillabici erano ancora una soluzione inadeguata al problema di fissare per iscritto la parola umana.

 La soluzione decisiva si ebbe con l'invenzione della scrittura alfabetica, che usava solo 20-30 segni per indicare i fonemi base. Gli antichi ritenevano che fossero stati i Fenici a inventare l'alfabeto o ad apportarvi modifiche decisive. Oggi sappiamo che la prima manifestazione dell'alfabeto, con segni dall'aspetto figurativo, si ebbe nella zona siro-palestinese, ispirandosi ai segni monoconsonantici egiziani. Nella seconda metà del II millennio l'alfabeto appare diffuso in questa zona in varie forme; l'alfabeto in uso presso i Fenici fu adottato per la scrittura ebraica e aramaica e, intorno al IX secolo a.C., fu trasmesso ai Greci, che lo chiamavano proprio phonikikà grammata, "lettere fenicie". Poiché questo alfabeto, nato per una lingua semitica, indicava solo suoni consonantici, fu modificato dai Greci per indicare le vocali e altri suoni della lingua greca. Furono i primi coloni greci giunti in Occidente, gli Euboici, a diffondere l'alfabeto presso gli Etruschi, che lo adattarono alla loro lingua. Attraverso gli Etruschi o le colonie greche dell'Italia meridionale l'alfabeto fu adottato a Roma e usato per esprimere la lingua latina. Con la diffusione di questa lingua sulla scia delle conquiste di Roma, l'alfabeto latino soppiantò ogni altro tipo di scrittura: infatti, è questo l'alfabeto in uso per tutte le lingue moderne dell'Europa occidentale.


EGEO E MEDITERRANEO ORIENTALE TRA XI E X SECOLO a.C:
I Fenici e la porpora
Tra gli apprezzati prodotti dell'artigianato fenicio, i più famosi erano forse le stoffe tinte in color rosso porpora. I Fenici avevano raggiunto una notevole perizia nell'arte della tintura, e i tessuti così tinti erano apprezzati a tal punto da divenire indice di ricchezza e raffinatezza. L'industria della porpora ebbe una tale importanza economica e storica, che con il colore del prodotto (phoinix=rosso; ma perché i Greci avrebbero dovuto usare un altro termine, oltre a quello che già possedevano,  erythros, per definire il colore rosso? Probabilmente perché si trattava di un tipo differente di rosso: un rosso violetto scuro, la ‘Porpora’ appunto. Phoinix non è un termine greco, né indoeuropeo. Sembra essere la versione in lingua greca di un preesistente vocabolo semita: Fehnkw. Il vocabolo è il termine esoetnico usato dagli Egizi per i primi Fenici, che anch’essi parlavano una lingua semitica ed è presente negli antichi contratti per il legno di cedro e nel racconto – anch’esso antico – “Sinhue l’Egiziano”) si connotò il nome stesso dei Fenici. Era una attività rivolta alla tintura indelebile, e perciò pregiata, di stoffe di lana o lino, che utilizzava un pigmento ottenuto da molluschi del genere murex, reperibili nei bassi fondali delle coste del Mediterraneo. La città di Tiro primeggiava in questa attività: come ricorda Plinio il Vecchio "A Tiro si trova la migliore porpora dell'Asia".
Ma la città fenicia più antica è Gebeil (che sarebbe divenuta Byblos) di cui gli archeologi hanno trovato tracce risalenti al VII millennio a.C.  (tracce di capanne a camera singola, con pavimenti in pitra calcarea frammentata e idoli di pietra rappresentanti la divinità El. Per questo motivo, alcuni pensano che Biblo potrebbe essere la più antica città del Mondo). 
La scoperta della porpora era narrata da un mito. Melquart (equivalente al greco Eracle), fondatore e dio della città di Tiro, inventò questo procedimento di tintura per fare un dono ad una ninfa di nome Tiro. Essa, durante una passeggiata lungo la spiaggia aveva ammirato il colore sprigionato dal succo di un mollusco e aveva rifiutato la proprie grazie al dio fino a quando non le avesse fatto dono di una veste di quel colore (questo – naturalmente – è solamente un mito: in realtà, non ci siamo proprio con il tempo necessario per creare la tintura: più o meno come avviene con Odisseo che spreme vino direttamente dall’uva, nella caverna del Ciclope).
Ma come si arrivava al pigmento per tingere le stoffe? Le modalità di lavorazione erano le seguenti. Dopo avere pescato i molluschi, forse con nasse, questi venivano messi in ampie vasche; infrante le conchiglie che ricoprivano i molluschi, essi subivano in processo di macerazione, durante il quale si otteneva il pigmento. A questo punto si diluiva il colore con acqua di mare, a seconda dell'intensità della gradazione desiderata, dal rosso cupo al violetto. Gli scavi hanno messo alla luce, alla periferia di centri urbani fenici, enormi cumuli di gusci infranti, i resti della lavorazione della porpora, che avveniva fuori degli abitati per il cattivo odore emanato dal prodotto durante le prime fasi della lavorazione. Per tutto il mondo classico la porpora e le stoffe così tinte rimasero connesse con l'immagine del lusso e del potere civile e religioso, di cui furono il simbolo. Nella prima età imperiale romana la porpora, anche per i suoi altissimi prezzi, era riservata agli imperatori, ai senatori e ai sacerdoti. Il suo fascino rimase intatto per secoli, fino alle ultime fasi del mondo antico quando ormai era riservata solo all'imperatore e alla sua famiglia. L'imperatore d'Oriente Teodosio II (401-450 d.C.), come si legge nel suo famoso codice, stabilì l'invio di funzionari presso le manifatture di porpora fenicie per vigilare contro ogni frode, perché "Ogni persona, di qualsiasi sesso, rango, mestiere, professione o famiglia dovrà astenersi dal possedere quel genere di prodotto, che è riservato solo all'Imperatore e alla sua Famiglia.
La fine dei regni micenei
LA CIVILTA' MICENEA, 1450-1200 a.C.
Sulle cause che determinarono la fine dei regni micenei non vi è accordo tra gli studiosi. Per alcuni furono le scorrerie dei "Popoli del mare", per altri si trattò di una crisi seguita all'enorme sforzo economico e militare affrontato durante la guerra contro Troia, cui si aggiunsero rivalità tra i singoli regni.
Più recenti sono le tesi che indicano come responsabile della decadenza una serie di concause: disastrosi terremoti, seguiti da un periodo di carestia e di anarchia da vuoto di potere.
Si sa, infatti, che i regni micenei erano basati su un’economia molto precaria: producevano armi e metallo per armi, ma non producevano abbastanza cibo per la propria popolazione. Pertanto, erano fortemente dipendenti dai paesi produttori  di grano (l’Egitto, ad esempio e quelle terre che in seguito sarebbero divenute la Palestina). Si ritiene che qualsiasi squilibrio economico nei paesi produttori avrebbe potuto sconvolgere completamente l’economia micenea, in seguito ad un aumento del prezzo del grano dovuto anche ad una modesta riduzione della produzione.  Probabilmente, così avvenne.


Fonte: http://pasuco.blogspot.it/2013/06/quattro-parole-sui-fenici.html

1 commento:

  1. scusate, ma la storia del vino spremuto sul momento da Ulisse non c'è nell'Odissea (io ricordo di averlo visto in un film hollywoodiano con Kirk Douglas). Anzi Ulisse porta con sè un otre di vino molto forte che gli aveva dato un sacerdote d'Apollo. libro IX 196

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