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domenica 20 luglio 2014

Civiltà nuragica: i bronzetti

I bronzetti nuragici
di Pierluigi Montalbano

Fra i personaggi rappresentati nelle piccole statuette nuragiche in bronzo abbiamo varie specializzazioni: spadaccini, arcieri, lancieri, portatori d'ascia, portatori di pugnale, e poi ci sono sacerdoti, animali e oggetti d'uso comune come ceste in miniatura, spiedi, carri. Ogni categoria aveva un ruolo particolare nell'arte figurata sarda del I Ferro.
I bronzetti sono stati studiati dal grande archeologo Giovanni Lilliu già dagli anni Quaranta e la sua classificazione distingue il filone geometrico del gruppo Abini-Uta dal filone barbaricino, stilisticamente più elegante, dipendenti da due diversi livelli di committenza: gli aristocratici (la nobiltà guerriera) e il popolo (artigiani, commercianti, produttori).
Ogni descrizione dei bronzetti si basa quasi totalmente a elementi di tradizione locale (veste, calzari, copricapo, armi e oggetti vari come brocchette, anfore, ceste, e le botteghe artigianali sarde, fin dalle origini, attestano l'estrema originalità di questa produzione.
L'interpretazione dei bronzetti guerrieri richiama l'esigenza di ostentare il potere da parte di una committenza locale che spinge per modelli di cultura elevata. 
Abbiamo due tipologie principali: i demoni-militari e i guerrieri, con personaggi come il famoso eroe con quattro occhi e quattro braccia che fa pensare a un riferimento mitico accanto alla celebrazione del rango. 

Visti nella loro globalità, i bronzetti mostrano il mutamento nel passaggio dalla astrazione della pietra alla iconografia, minuziosa e precisa, dell'eroe mitico su uno sfondo religioso tradizionale. Il sacerdote-militare nasce all'interno di un’arte metallurgica assai avanzata tecnologicamente e attestata in Sardegna almeno dal Bronzo Finale. 
La nascita della rappresentazione figurata appare espressione di una società che cambia struttura, infatti non bisogna dimenticare che nello stesso periodo si verificano due fenomeni importanti: non si costruiscono più nuraghi e Tombe di Giganti e inizia il periodo delle grandi capanne delle riunioni per le assemblee della comunità.  Si avverte come fondamentale il momento della rappresentazione di simboli che riportano allo status. In altri termini, si assiste a una società in cui la produzione figurativa è finalizzata alle necessità politiche e celebrative di una classe dominante. 
Nel Bronzo Finale la Sardegna è al centro degli interessi commerciali e delle vie navali dei popoli che si affacciano nel Mediterraneo. Insieme a questa produzione artisticamente e ideologicamente elevata, si registra l’apparizione delle incantevoli navicelle bronzee che propongono un mondo legato al commercio e alle straordinarie elaborazioni araldiche. Il quadro che si ricava vede una produzione di matrice locale che non può storicamente essere definita fenicia visto che almeno due secoli separano questa produzione dall'inizio delle frequentazioni commerciali da parte dei fenici. 
Forse l'aspetto antico dei bronzetti sardi discende dalla familiarità con il bagaglio decorativo e con il gusto da tempo circolanti nell'isola, ma in realtà il problema delle origini è un falso problema perché la prospettiva corretta è quella di valutare la formazione di una società tecnicamente avanzata e strutturalmente complessa nel momento in cui compie la scelta politica e ideologica di autorappresentarsi in piccole sculture in bronzo. 

Ritengo legittimo affermare che le botteghe si avvalessero della presenza e della conoscenza di artigiani stranieri, a riprova del grado di articolazione della società sarda dell'epoca. I gruppi sociali committenti della bronzistica si riconoscono nella tematica eroica, principesca e sacerdotale della gestione del rituale. La società sarda approda allo stile di vita delle grandi famiglie aristocratiche presenti anche al di fuori dell’isola, etruschi in testa.
I gruppi a due figure sono rari fra i bronzetti e soltanto in un caso, con lo stesso tema che Michelangelo impresse nel marmo dopo 3500 anni nella famosa “Pietà” si interpreta una donna seduta in trono che tiene in grembo un bambino. Dal VI a.C. si registra il passaggio nella sfera cultuale salutifera, con personaggi appartenenti al popolo che offrono qualcosa per la grazia ricevuta. 

La mutazione è evidente, ad esempio, nel Capotribù di Uta, rappresentante di una casta aristocratica e guerriera, al quale si sostituisce si sostituisce un popolano che affida al tema figurativo non la casta né il rango, ma l’appartenenza a un gruppo umano meritevole di qualche distinzione, il gruppo degli uomini miracolati da una divinità.
Le caratteristiche riscontrate accomunano quest’ultima serie sarda alla produzione etrusco-italica, proveniente da santuari e stipi votive. Il predominio iconografico dell’orante-offerente, abbinato a un mutamento di culto rivolto al miracolo, suggeriscono anche per i sardi l’allineamento al fenomeno che risulta generalizzato fuori dall’isola intorno V a.C. riferito all'esplosione della religiosità popolare che orienta il culto in senso sanatorio.

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