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mercoledì 10 febbraio 2016

Archeologia. Dove si trova Tartesso? La mitica città che nell'antichità esportava oro, argento, rame e piombo svela la sua posizione geografica nel poema "Ora Marittima" di Avieno.

Archeologia. Dove si trova Tartesso? La mitica città che nell'antichità esportava oro, argento, rame e piombo svela la sua posizione geografica nel poema "Ora Marittima" di Avieno. 
di Sonia Barja
(Traduzione dallo spagnolo di Pierluigi Montalbano)


Scusandomi per la traduzione a braccio, realizzata in mezza mattina e non perfezionata da uno specialista, vi propongo una interessante interpretazione sulla localizzazione della mitica città di Tartesso. (Vorrei puntualizzare che sono convinto della ubicazione in Sardegna di questa mitica città, precisamente a Tharros,...ma gli studiosi più accreditati la cercano nei dintorni di Siviglia in Andalusia).

Le notizie storiche più antiche che ci sono arrivate sui colonizzatori della penisola iberica e delle sue coste sono quelle citate da Rufo Festo Avieno, IV d.C, nel suo poema intitolato "Ora Marittima." Il concetto importante dell'opera è che Avieno utilizzò fonti antichissime di autori sconosciuti. La parte che ci concerne proviene da un marinaio marsigliese al quale proprio Avieno confessa di essersi ispirato. Questa fonte è il "periplo" di un marinaio di Marsiglia (Massalia) del V a.C. cioè, quasi mille anni prima dell'epoca in cui visse e scrisse Avieno. Secondo gli esperti, la fonte di Avieno per la descrizione delle coste andaluse di allora precede di poco la sparizione della mitica Tartesso. Avieno era un nostalgico della cultura antica, in un'epoca nella quale il cristianesimo era già la
religione dell'Impero Romano. Essendo già molto vecchio decise di trascrivere, tradurre dal greco al latino e mettere in versi il citato periplo massiliota. Gli antichi marinai praticavano la navigazione di cabotaggio, dovevano imparare a memoria la rotta, gli incidenti costieri più notevoli, capi, isole, promontori, insenature...a partire da uno scritto originale poiché non esistevano carte per la navigazione. Una di queste rotte, o peripli, è quello che segue Avieno per scrivere il suo “Ora Marittima”. Gli studiosi convergono nell’affermare che Avieno fu fedele ai testi originali. Il periplo si riferisce alla rotta di navigazione costiera che passa nel Mediterraneo partendo dalle coste di Bretagna e Cornovaglia, per arrivare fino a Marsiglia. Risultato di quel viaggio fu la narrazione animata e viva dei posti visitati, proponendo in concreto una delle più antiche notizie esistenti sulle coste andaluse e sull'ambiente di Tartessos.
Benché ci basiamo sui testi di Avieno, per riassumere e non dovere comporre un puzzle complicato di altre prove testuali relative all'ubicazione (che noi attraverso dello studio di mappe geologice e topografiche crediamo concordanti con la complicata evoluzione del fiume Guadalquivir e dei suoi estuari negli ultimi 2500 anni), non ci rifiutiamo di apportare due attestazioni di Strabone che si riferiscono al I a.C. secondo le fonti delle quali questo autore si avvale, cioè quando Tartesso era sparita da almeno 400 anni.
"E come il fiume ha due sbocchi, dícesi anche che la città di Tartessos, omonima del fiume, fu edificata anticamente nella terra posizionata tra entrambe, essendo chiamata questa regione Tartéside." (Strabone) 3,2.
"Sembra che in tempi anteriori questi luoghi si chiamavano Betis, Tartessos e Gades, e le isole vicino Eriteia. Così si spiega che Estesícoro, parlando del pastore Gerión dicesse che era nato di fronte all'illustre Eriteia, vicino alle fonti immense di Tartessos, di radici argentee, in un nascondiglio della roccia." (Strabone) Geografia 3,2,11.:
Rispetto alla prima descrizione, merita il commento che le due fonti (bocche) alle quali si riferisce stavano situate già nella sbarra arenosa del Guadalquivir che separava mare e laguna interna, benché sia anche certo, come vedremo, che le due bocche dello sbocco del Guadalquivir anteriormente ai tempi di Tartessos stavano all'uscita del Lago Ligustino autentico.








































Mappa di localizzazione generale dell'area della città Tartessos dove si nota il Golfo Tartésico ed il Lago Ligustino. Interpretazione alla Geografia della Ora Marittima

La seconda descrizione si riferisce anche a notizie antiche che ci indicano che un re mitologico di Tartessos, Gerión, Caureon o Caureonte nacque di fronte all'isola Eriteia o Eritía che sarebbe con moltissima probabilità l'estesa frangia di terra che va dal fiume Guadaira fino a Cadice, e che dimostra essere un'isola per essere avvolta a est dal fiume Guadalete che quasi confluisce nella sua nascita con il fiume Guadaira. Certamente questa "isola" ha avuto, e ha ancora, una tradizione di bestiame e di tori valorosi. Pertanto se questa interpretazione fosse corretta, questo re pastore mitologico che fu vinto da Ercole o Herakles, Caureón, il cui nome farebbe riferimento a questo re mitologico nato in una grotta. Le "fonti immense del Tartessos, di radici argentee" sono le bocche del suo sbocco e, in seguito, giustificheremo le sue acque "argentee".
Passiamo ora a commentare il testo di Avieno in quello che si riferisce al percorso completo per il salato Golfo Tartésico, Sinus Tartessii, per la costa da Torre del Fico, a partire da dove crediamo che si trovasse l'isola Cartare, passando per Caura nelle bocche del fiume Tartessos (uscendo dal Lago Ligustino), continuando a costeggiare fino a Sanlucar, alla fine del Golfo, dove si trovava l'isola di Venere, che pensiamo fosse l'Algaida, e arrivando infine a Cadice.
[...] Dopo si trova l'isola di Cartare ed è una tradizione fondata quella che la dominarono in primo luogo i cempsos, respinti in seguito dalla guerra coi vicini, si sparpagliarono alla ricerca di distinti insediamenti. Si erge dopo la mole del monte Cassio e, partendo dal suo nome, la lingua greca chiamò prima casítero lo stagno. Segue la prominenza di un santuario e, sullo sfondo, la forza di Geronte che porta un antico nome greco, perché la letteratura dice che in passato a partire da lei dio diede il nome a Gerión (Vv 255-264)
L'isola di Cartare possiamo pensare che in principio fosse un'isola arenosa col suo bordo nord formato da materiale alluvionale antico per la parte dell'oceano e argillosa all'interno tra l'attuale Matalascañas e Torre Carboniera, separata della costa con un braccio di acqua formato dalla corrente di acqua proveniente dal ruscello della Rocina. Ma più che una sola isola potrebbe trattarsi di un'estensione considerabile del delta, abbia chi legge in conto che i greci per descrivere il delta di un fiume si riferivano indistintamente ad un’isola o a più isole, formate dalle alluvioni apportate congiuntamente dal ruscello della Rocina e del Guadiamar. Questa isola o isole sarebbero sommerse da cambiamenti morfologici continui e incerti perché ci sarebbe una lotta costante tra le ondate distruttrici dell'oceano e il sedimento periodico dei citati fiumi. In ogni caso la sua posizione strategica è importante per dominare l'entrata al Golfo, e ciò giustifica la lotta per il suo controllo. Se, al contrario, l'isola di Cartare fosse la sbarra arenosa dell'Algaida, l'isola formata vicino a Bonaccia, Sanlucar di Barrameda che noi in principio abbiamo proposto come l'isola citata in un paragrafo posteriore come "isola devota a Venere" nel qual caso l'interpretazione di questo cambierebbe all'isola Salmedina, situata più meridionale ma anche esposta al tramonto del sole. Testimonia questa assegnazione all'isola di Cartare come "isola" dei cempsos, paese di stirpe celtica, il fatto di essere un'isola molto antica e di volume considerabile. Posteriormente l'Algaida si unirebbe alla terra per formare un gran tómbolo. Nonostante per il momento propendiamo per l'opzione contraria di Cartare situata nel bordo occidentale del Golfo Tartésico, perché sembra che la Ora Marittima fa il suo percorso nel senso degli aghi dell'orologio, incominciando per l'ovest e finendo nell'est.
Quindi appare il Monte Cassio, Dorso del Tamburo il cui riferimento allo stagno può doversi alle attività metallurgiche sviluppate in distinti villaggi vicino al citato ruscello, ad esempio Coperta Vecchia, o alla presenza di stagno alluvionale. Di seguito segue un capo dove si trovava un santuario tra Villamanrique e il pascolo di Sotto non lontano dal Braccio della Torre, o piuttosto questo santuario starebbe nella Cascajera. Sullo sfondo si vede la forza di Gerión (Arx Gerontis) che sarebbe il capo di Coria e la sua cittadella disposta come una magnifica sentinella con deposito di sedimenti portati dal fiume sottostante, ma che in certe occasioni ha causato l’abbassamento della sua altezza di 5-7 m rispetto a quel momento che avrebbe circa 30 m sul livello delle acque del mare che domina. Sarebbe Caura il castello che, secondo Schulten, i cartaginesi distrussero prima di attaccare e devastare Tartessos. Caura era l'ultimo vertice del golfo Tartésico nel Cornicione dell'Aljarafe.

Prima di passare ai seguenti versi dobbiamo fare un'osservazione molto importante perché il testo di Avieno mostra un'interpretazione del periplo che mise in versi oltre l’originale, e conseguentemente introdusse un grave errore. In effetti Avieno conosceva Gadir, come si deduce dal testo, perché scrive riferimenti con sue osservazioni dirette. Avieno fu proconsole della Betico o, con più possibilità, del Nord Africa, quindi personalmente visitò Cadice e i paraggi della sua costa. Per quel motivo Avieno insiste di nuovo sulla confusione tra Gadir, Gades, e Tartessos che era comune tra i romani per le ragioni che abbiamo già segnalato. Questo fatto fa che il testo originale sia inquinato con osservazioni personali di Avieno del IV d.C., quando il paesaggio del golfo era cambiato già totalmente e la sbarra arenosa che chiudeva l'estuario del Guadalquivir era nello stato attuale. Evidentemente questa confusione ha avuto molto peso tanto nell'interpretazione di Schulten come in quella di Gavala. Per il primo la localizzazione di Tartessos stava nella sbarra arenosa di Matalascañas, (che denominò Isola Cartare) che si prolunga fino a Bonaccia, e si trova effettivamente "davanti" a Cadice. Studi geologici recenti hanno dimostrato che la sbarra si andò formando progressivamente, rimanendo infine da nord-ovest a sud-est. Nell'epoca di Tartessos, le dimensioni dell’isola Cartare erano molto ridotte, mentre nell'epoca di Avieno aveva praticamente la disposizione del secolo scorso e lo sbocco del Guadalquivir in Bonaccia è lo stesso di oggi. D'altra parte Gavala interpreta che il fiume Guadalete è il fiume Tartessos e identifica Tartessos con Cadice, come fecero i romani e seguendo la descrizione letterale di Avieno nella sua confusione.
"Qui si trovano le ampie coste del golfo tartessico e dal fiume Ana, già famoso, fino a questi territori le imbarcazioni hanno un giorno di tragitto. Qui si trova la cittadella di Gadir, poiché nella lingua dei cartaginesi si nominava Gadir riferendosi ad un posto fortificato con mura. Questa stessa città fu denominata prima Tartessos, città importante e ricca in tempi remoti, ora povera, rimpicciolita, esclusa, e infine un semplice campo di rovine. Noi in questi paraggi, eccetto le cerimonie in onore di Ercole, non vedemmo niente degno di ammirazione. Invece, ebbe tale potere, perfino tale prestigio in epoche passate, se diamo credito alla storia che un re arrogante, e il più poderoso di tutti quelli che aveva il paese della Mauritania, molto stimato dall'imperatore Octaviano, Giubba, consegnato sempre allo studio delle lettere e allontanato per il mare che aveva in mezzo, si considerava molto distinto con l'onore del duunvirato nella sua città." (Vv 265-281).
Il fiume Ana, anteriore stazione del viaggio, è il Guadiana che sbocca in quello che chiama anteriormente Golfo Galattico o dei Celti, perché abitavano le sue coste paesi di questa cultura. Avieno identifica erroneamente Tartessos con Gadir che è anche molto decadente nel suo tempo. Il colto re Giubba II, 50 a.C. - 23 d.C., di Numidia nella provincia romana della Mauritania che possedeva un'importante biblioteca, riconosce lo splendore passato di Tartessos, perché probabilmente aveva letto molti testi antichi, alcuni di origine cartaginese scomparsi.
Di seguito appaiono i versi più interessanti della Ora Marittima nei quali si localizza Tartessos tra le braccia del fiume Guadalquivir che fluisce dal Lago Ligustino. Perciò riproduciamo qui tanto il testo in latino come la sua traduzione.
"siate insulam Tartessus amnis ex Ligustino lacu per aperta fusus undique adlapsu ligat. neque iste tractu simplici provolvitur unusve sulcat subiacentem caespitem, scelta prega quippe parte eoi luminis infert in agri, preghi bis gemino quoque meridiano civitatis adluit." (Vv 285-290).
"Ma il fiume Tarteso, fluendo dal lago Ligustino, a campo (?), avvolge un'isola di piena col corso delle sue acque. Non corre avanti per un alveo unico, né è uno solo a solcare il territorio che è offerto al passo, dunque, in realtà, per la zona in cui rompe la luce dell'alba, si getta in campagne coltivate per tre alvei; in due occasioni, e anche per due tratti, lava il settore meridionale della città". (Vv 285-290)
Qui si riferisce direttamente il racconto alle bocche del fiume, Tartessus amnis, che circondano la città per il sud, meridiano civitas, situata in un'isola. Pertanto ci dice che il fiume dal lago Ligustino, ex Ligustino lacu, forma un delta interno dove il fiume si divide in tre braccia verso l'est che attraversano i campi, e a loro volta, logicamente per il sud, avvolgono l'isola dove si trova la città formando due bocche che danno al "Tartesii sinus."
Di qui si deduce che Tartessos è una città situata in un'isola nello sbocco verso il mare del fiume dello stesso nome. Avieno non cita logicamente la città per il suo nome, dato che anteriormente l'aveva confusa con Cadice, e contemporaneamente i romani confusero anche il Lago Ligustino, Ligustinii lacuus, con l'enorme insenatura che formava il mare nell'estuario del Guadalquivir, Tartesii sinus. La descrizione di Avieno chiaramente, non "corre per un alveo unico, si getta alla campagna coltivata per tre alvei" ci parla della configurazione deltaica dello sbocco. Noi abbiamo identificato l'antico meandro della Merlina come un'orma del paleodelta del Guadalquivir nello "stretto di Coria" e per tale motivo così abbiamo interpretato la mappa raccolta nella figura.
Questo Golfo Tartésico in tempi storici costituì una laguna che si colmava di sedimenti, con una sbarra costiera formata da Sabbie Grasse che continuava a chiuderla. Per la parte interna i depositi alluvionali formerebbero le "Paludi Antiche". Questa laguna che anteriormente
aveva due bocche, come afferma Strabone, subì un’evoluzione fino a formare le paludi del Guadalquivir che oggi si trovano praticamente disseccate. Oggi il fiume ha un solo alveo ed un solo sbocco. Strabone che non visitò mai questi paraggi, nel suo lavoro Estesícoros, ambientato nel V a.C., è molto rigoroso, non toglie né mette niente, riproduce fedelmente i suoi scritti. Perciò se Eritía fosse un'estesa isola di fronte all'isola di Cadice fino a Due Sorelle, nel suo estremo capo si troverebbe di fronte alle "bocche" del Betis nel suo primitivo sbocco, ma, in una seconda
opzione, avrebbe dimensioni più ridotte arrivando approssimativamente fino a Trebujena dove si trovava lo sbocco agli inizi del primo millennio, ossia più simile all'attuale.
"Da parte sua, il monte Argentario si staglia sulla laguna; è così chiamato nell'Antichità per la sua bellezza e perché i suoi pendii brillano per l’abbondanza di stagno. Visto da lontano, irradia ancora più luminosità, quando il sole colpisce col fuoco le altezze delle sue cime. Questo stesso fiume,
inoltre, trascina nelle sue acque piccole quantità di stagno pesante e trasporta questo pregiato minerale fino alle muraglie. A partire da qui un'estesa regione si allontana dalle acque salate, e forma una pianura nell’entroterra. La razza degli etmaneos l'abita. E dopo, d'altra parte, fino ai terreni coltivabili dei cempsos, si estendono gli ileates su terre fertili; sebbene le zone marittime siano controllate dai cilbicenos." (Vv 291-304).
Nella laguna che è il lago Ligustino in una parte è configurato a paludi e a ovest con un gran braccio di acqua. Contiene un massiccio che emerge sulle acque e colpisce per la sua lucentezza. La lucentezza dei suoi pendii è attribuita ad un metallo, nella mia opinione, piuttosto che al minerale di
"stagno", bene potrebbe riferirsi alla galena o all'argento (argentita, in ragione del nome del monte) Argentarius. Potrebbe riferirsi anche a tutti contemporaneamente. Il senso di questo monte è misterioso. In primo luogo bisogna capire se si trova dentro o separato dall'isola e città di Tartessos.
In secondo luogo qual è l'origine del minerale o del metallo nello stesso? È per caso un tempio nel monte coperto da ferri da stiro argentati?
Esporrò un'ipotesi che incastra perfettamente col testo.
Si tratterebbe di una "isola" o penisola promontorio nella quale si porterebbero a termine lavori di scarico di minerali di stagno e piombo provenienti della Cassitérites lungo le rotte commerciali dei tartesios coi soci liguri. Anche l'argento portato per navigazione di Aznalcollar ed Almaden dall'altro estremo del lago coinvolgerebbe i liguri. Conseguentemente si effettuerebbero lavori di metallurgia. Se questa ipotesi fosse giusta si spiega la denominazione di "lago Ligure" ed in secondo luogo si risolve l'enigma della preminenza di Tartessos nel controllo sulle zone minerarie del nord della provincia di Onuba, Huelva, e Castulo (Linares), tanto lontane della metropoli.
In effetti per lo sviluppo della metallurgia del bronzo è necessario lo stagno o più concretamente il suo minerale cassiterita, che si importava da Bretagna, Inghilterra, Irlanda e Galizia, questo minerale era portato per i marini tartesios o suoi soci liguri. Il rame si trova nel bacino del Riotinto, e riveste valore come merce di scambio. Per questo motivo centralizzando e
monopolizzando il suo uso si domina la metallurgia del bronzo e si spiega l’importanza di Tartessos. Dovrebbe stare in Tartessos il centro metallurgico principale del regno in ragione essenzialmente di tre premesse seguenti:
1, Tartessos era dove unicamente potrebbero scaricarsi stagno e piombo per dopo essere distribuiti alle fabbriche metallurgiche del resto della regione.
2, le rotte marine che servivano per l'approvvigionamento di quelle materie prime erano gelosamente protette proprio dalla monarchia tartésica nella stessa metropoli. Le rotte marine tartésicos-liguri formati sotto l'amministrazione erano conosciute solo dai naviganti locali e questi erano esperti nella difficoltosa navigazione.
3, la produzione e raffinazione di metalli, vicino alla trasformazione in beni finali nelle vicinanze della metropoli dava alla città un predominio sul mercato. Questo gli permetteva il controllo di prezzi e dell'offerta/domanda tanto di materie prime come di prodotti di oreficeria o altri già elaborati in tutta l'area di influenza della città. Oltre alla centralizzazione della produzione e/o commercializzazione del bronzo attraverso il controllo sulle materie prime essenziali, altrettanto si deve dire dell'argento il cui commercio era ancora più importante per la monarchia tartésica. Le galene argentifere della zona di Linares, Cástulo, hanno già l'ingrediente piombo in grado di fornire facilmente argento puro, e la metropoli Tartessos aveva il fiume navigabile con una rotta di uscita al mare comoda per il suo commercio.
Rispetto all'informazione apportata per quei versi, è significativo che il Guadalquivir non può sopportare grandi apporti di minerale o metallo di scarto dei lavori metallurgici che si sviluppano nelle prossimità dalla città. Come nel Monte Casius ebbero archeologicamente posto attività comprovate di metallurgia, nel monte Argentáreo in un posto vicino all'isola di Tartessos l'attività sarebbe di tale grandezza che si produsse un forte inquinamento delle acque e dell'aria. Questi versi ci parlano di lavori metallurgici intorno alla città fino alle sue mura e moli brillanti, grazie alla grande quantità di stagno lavorato. In seguito la descrizione ci parla dei paesi situati nella sponda sinistra del Guadalquivir. Gli etmaneos collocati su terre salmastre, logicamente perché le sponde del lago Ligustino stavano allora retrocedendo, formando un paesaggio palustre e lasciandosi dietro terre salinizzate nelle paludi del Guadalquivir e nelle sue Isole. Oggigiorno in realtà i fiumi che affluiscono verso il Guadalquivir nel suo margine sinistro hanno acque molto saline (Guadaira) Corbones con diversi ruscelli denominati Salati. Invece nella parte sinistra che porta sul Lago Ligustino, fino a Villanueva del Fiume, ed a partire dallo stesso fiume Tartessos si trovava la fertile pianura del Guadalquivir fino ad arrivare approssimativamente da Cordova.
"la cittadella di Gerente, e dopo il santuario sono separati in mezzo dal mare salato, e tra alte scogliere si ritaglia un'insenatura.Vicino al secondo massiccio sbocca un fiume abbondante. Quindi si erge il monte dei tartesios, coperto di boschi." (Vv 304-309) Questi versi sono difficili da interpretare e possono condurre a una possibile sistemazione dei versi nel testo una volta arrivati a Tartessos, perché si retrocede. Supponiamo che la cittadella di Geronte sia Caura e la punta del Santuario, affezionato a Cerere come pensiamo, sarebbe il Cascajera separatore per il mare. In questo caso tra le scogliere l'ampia insenatura si riferirebbe all'estuario del Riopudio, potendosi accettare anche la traduzione di ampio invece di "abbondante fiume." Supponiamo che il Monte dei Tartesios coperti di boschi di pinete e querce fosse il contorno dell'Alfajafe da Villamanrique ed avrebbe anche boschi per la sponda destra del golfo di fronte a Coria. La sponda sinistra del golfo ha maggiore altezza fornendo scarpate mentre il bordo contrario originerebbe spiagge.
"Subito si trova l'isola Eritía, di estese campagne coltivate e, in tempi passata, bassa giurisdizione punica; in realtà, furono coloni dell'antica Cartagine i primi a stanziarsi. Uno stretto separa Eritía dalla cittadella del continente in solamente cinque stadi" (Vv 310-314) In questi versi c'è un'interpretazione sui punici perché nel IV a.C. non erano ancora arrivati a queste terre. Solamente "cinque stadi separano Eritía dalla cittadella del continente". In questo senso stanno due ipotesi:
1, supporre che questa isola Eritía fosse il delta del fiume Tartessos all'uscita del lago Ligure. In questo senso altri autori si riferiscono a lei come "isole Eritías" e ricordi Chi legge che per i grigos la designazione di delta si fa come insieme di isole separate da distinte braccia di fiume.
2, questa isola può supporsi come una parte o tutta la "estesa" regione di campagna coltivata che va da Due Sorelle fino a Porto di Santa María, compresa tra i bacini dei fiumi Guadaira (porto di Irippo e Guadalete), Porto Menesteo e Porto Santamaría.
In relazione a questa seconda ipotesi di nuovo ci appare la confusione fra Tartessos=Gadir che alterò tutta la comprensione geografica dei romani rispetto al paesaggio invertito col tempo del pianterreno Guadalquivir, dal V a.C. al II a.C. avendo i fiumi Guadaira, con Irippo al suo
ingresso, e Guadalete, con Porto Menesteo all’altra sua entrata, bacini vicini e alcuni tratti molto ampi potrebbero confonde il navigatore mostrando l’entroterra come un'isola. In ogni caso, questi due bacini, Guadaira e Guadalete, potrebbero comunicare con un canale, ed essere attraversati da merci di contrabbando. Questa ipotesi è concordante con Caura = Forza di Gerión. In ogni modo la
tradizione situa Eritía di fronte a Cadice, a questo potè contribuire la confusione Tartessos = Cadice che abbiamo commentato. Finalmente la designazione Eritía andrebbe adottandosi esclusivamente per il massiccio Porto di Santamaría - Sherry - Trebujena-Sanlucar, hinterland naturale di Gadir e con popolazione libio-fenicia molto antica che aggirandolo permetteva di arrivare fino al bacino del Guadalquivir attraverso estuari e canali. Questo caso è argomentato da Genaro Chic e appare in qualche mappa araba. È sicuro che l'estremità inferiore di Eritía si trovava di fronte a Cadice,
perché fu l’hinterland vicino che assicurava a Cadice la sopravvivenza e come tale fu occupato dai punici. Questa isola è considerata una mitica campagna coltivata ricca di bestiame valoroso come racconta il mito di Gerión ed Ercole. Queste considerazioni in ogni modo sono in attesa di
contrastare con dati geologici. Un'altra possibilità è anche che il taglio trasversale della valle del Guadalquivir - recinti del Guadalete con il canale potesse stare a livello dei Palazzi (estuario del Braccio del Questo).
Escacena Carrasco sostiene che il capo del Santuario sarebbe il Carambolo, Letti, dove sta il famoso villaggio fenicio e in questo luogo si trovò una figura della dea Astarte ed effettivamente un tempio dedicato a lei. D'altra parte si pensa che il santuario fenicio di Caura nel Dorso può attribuirsi
a Baal Saphon per il suo altare a forma di pelle di toro e per l’esistenza di altri manufatti in questo posto. Pensa questo autore che il Dorso di Caura sarebbe così quel Monti Cassio della Ora Marittima, poiché la divinità di Baal Saphon e assimilabile a Cassio. Senza dubitare dell'intepretazione sulle divinità e i relativi santuari, penso che l'assegnazione geografica data a quei due punti non coincide con la descrizione della Ora Marittima ed in particolare con la forza di Geronte situata di fronte al Santuario. In ogni modo già stiamo girando a Cadice costeggiando l'estremo meridionale del Golfo.
"Per dove si dà il tramonto del giorno, c'è un'isola devota a Venere del Mare, e nella stessa un tempio di Venere, un eremo in roccia viva ed un oracolo"., Vv 314-317,
Qui finirebbe il percorso per le coste del golfo Tartésico, supponiamo che questi paraggi possono riferirsi a Sanlucar di Barrameda o a qualche luogo tra questo e Cadice che logicamente non è citata. Si sa che l'Algaida fu in tempi antichi un'isola e che si sono trovati lì resti di un antichissimo
tempio. L'isola dedicata alla divinità Venere romana, Afrodite greca, si riferirebbe logicamente alla corrispondente divinità tartésica. Un'altra possibilità è che si tratta dell'Isola di Salmedina, più concorde col fatto della natura rocciosa della stessa, dato che l'Algaida è un'isola arenosa.
Ora bisogna rendere merito a Schulten, per testimoniare il suo enorme lavoro per tirare fuori Tartessos dalla mitologia e mettere le basi di tutta la sua storiografia. La sua scoperta non ebbe successo per mancanza di basi geologice della dinamica fluviale del Guadalquivir e per le confusioni latine della denominazione del Lago Ligustino e l'equazione Cadice = Tartessos. Certamente le interpretazioni che qui si fanno non sono neanche matematiche, ma costituiscono un apporto rilevante per lavori futuri, per la sua consistenza con la cronologia delle descrizioni classiche e con la geologia della zona, asse spazio-tempo. per quel motivo bisogna citare letteralmente le premonitorie parole dello stesso Schulten: "Chi vuole può mettere in relazione i pre-tartesios con "la città dei liguri" che sembra essere stata una predecessora di Tartessos". Per continuare in una nota a piè di pagina: "Estéforos [dice] la città ligustina...vicino a Tartessos dovette stare nel lago ligure che avrebbe potuto prendere il suo nome; questo è verso Coria."
Impressionanti queste parole di Schulten che egli stesso sottolinea nel testo: "verso Coria"
È incontrovertibile che se i testi non mentono Tartessos si trovava in un'isola vicino allo sbocco del Guadalquivir e questo stava vicino a Coria. Tartessos occupava dunque una posizione strategica aperta al mare, nel Golfo Tartésico, nel vertice di una feconda valle con zone minerarie nelle sue prossimità a trasformarsi nel "mitico regno dell'antichità" solamente oscurato dalla viltà cartaginese che volle seppellire la sua storia.

Fonte: Arqueologos Red Española de Historia y Arqueología

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