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giovedì 23 giugno 2016

Archeologia. Il Cavallo di Troia era una nave?

Il Cavallo di Troia era una nave?

Lo sostiene un archeologo navale. Verosimilmente, nel corso dei secoli, essendo caduto in disuso il termine navale, l'identificazione dell'Hippos con uno scafo "non fosse più automatica", afferma Francesco Tiboni, ricercatore dell'Università di Aix-en-Provence e Marsiglia.
E un'altra certezza se ne va.  Il celeberrimo Cavallo di Troia non era un cavallo di legno, bensì una speciale nave da guerra. L'archeologia navale assesta un durissimo colpo all'interpretazione canonica del celebre episodio narrato da Omero: non il mitico (e improbabile) quadrupede i Troiani avrebbero introdotto dentro le mura della città - in parte abbattendole per farcelo entrare - ma l'Hippos, una nave di tipo fenicio con la polena a testa di cavallo. La sorprendente rivelazione, anticipa l'AdnKronos, arriva dai recenti studi dell'archeologo navale Francesco Tiboni, ricercatore dell'Università di Aix-en-Provence e Marsiglia, che pubblica i risultati della sua indagine sulla rivista "Archeologia Viva". 
Un equivoco millenario di una traduzione di un termine ha impedito di conoscere in realtà il marchingegno che fu utilizzato per abbattere le mura di Troia, sostiene l'archeologo italiano che insegna in Francia. Tiboni spiega che l'inganno ideato da Ulisse e allestito dagli Achei fu messo in atto per mezzo di "una nave, piuttosto che di un cavallo", perché l'Hippos va identificato con
un vascello e non con un quadrupede.
Un equivoco durato per secoli Ma come e quando la nave è diventata un cavallo? Intorno al VII secolo a.C. è nato l'equivoco, poi ingenerato successivamente anche da Virgilio che ne fu inconsapevole trasmettitore rispetto all'originale di Omero. "Dal punto di vista lessicale, appare evidente che l'apparizione del cavallo risulta legata a un errore di traduzione, un'imprecisione nella scelta del termine corrispondente che, modificando di fatto il contenuto della parola originaria, ha portato alla distorsione di un'intera vicenda", scrive Francesco Tiboni.  "Se, infatti, esaminiamo i testi omerici, reintroducendo il significato originale di nave - certamente noto ai contemporanei - non solo non si modifica in alcun modo il significato della vicenda, ma l'inganno tende ad acquisire una dimensione meno surreale - spiega Tiboni E' di certo più verosimile che un'imbarcazione di grandi dimensioni possa celare al proprio interno dei soldati, e che loro possano uscire calandosi rapidamente da portelli chiaramente visibili sullo scafo e per nulla sospetti agli occhi di chi osserva".
E appare più plausibile anche ipotizzare che una grande nave, di un tipo noto per essere solitamente utilizzato per pagare tributi, possa essere non solo interpretata come un dono e un segno di resa, ma anche come un eventuale voto divino. 
E' possibile che, nel corso dei secoli, essendo caduto in disuso il termine navale, l'identificazione dell'Hippos con uno scafo "non fosse più automatica", sottolinea l'archeologo.  "Se consideriamo l'iconografia, notiamo che tra le pochissime figurazioni del cavallo (venticinque in tutta la storia dell'arte antica), le prime si datano al VII secolo a.C., periodo cui risalgono le opere post-omeriche prese a riferimento da Virgilio". Dunque, è più che possibile che l'equivoco millenario della traduzione dell'Hippos omerico si possa collocare in questo momento - spiega sempre Francesco Tiboni - E che Virgilio, cui si deve la vera grande diffusione del tema nella cultura occidentale, abbia codificato tale passaggio utilizzando il termine latino 'equus' (che significa cavallo), forse a causa della tradizione post-omerica, come farà anche il filosofo bizantino Proclo (412-485 d.C.) nella Crestomazia, riportando testi di Lesche di Mitilene (VIII-VII a.C.) e di Arctino di Mileto (VIII a.C.). 
"La sottovalutazione incolpevole - e ante litteram - dell'archeologia navale, intesa come capacità di analisi delle diverse fonti a disposizione degli studiosi finalizzata al riconoscimento e studio dei modelli di imbarcazione antichi, potrebbe quindi aver determinato questo equivoco plurisecolare, che, oggi, proprio l'archeologia navale può finalmente sanare", conclude Tiboni.

Fonte: Rainews.it

4 commenti:

  1. Omero fu un grande scrittore, un miscelatore straordinariamente abile di realtà e fantasia. Nei suoi scritti (Iliade e Odissea) abbiamo tanti indizi che ci fanno capire come era strutturata la vita militare dell'epoca. Ma i filtri che pone il metodo di ricerca archeologica devono sempre essere applicati. Belle storie, un pizzico di follia, una manciata di fantasia, qualche tocco di magia e una serie di eventi di tradizione orale. Bravo Omero...bravi gli archeologi. Belle storie di grandi autori. Ma la realtà non era quella. Sangue, sudore e lacrime per i familiari defunti, cruenti scontri fra stirpi con tradizioni differenti. Storie di guerre che sterminarono interi popoli e causarono la disintegrazione delle civiltà più potenti dell'epoca, senza dimenticare che l'immenso poeta visse 400 anni dopo i fatti raccontati, come se oggi spacciassimo per realistica la storia di Don Quijotte.

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  2. ehm, no, non c'è motivo per dire che Omero è vissuto 400 anni dopo i fatti che racconti, questo deriva da un'elucubrazione dei fanatici della grecità... lo spiego qui http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/05/iliade-e-odissea-omero-racconto-delle.html

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    1. mi sembra alquanto improbabile che fosse una nave e non un cavallo, per non dire improponibile. se fosse infatti una nave, i troiani sarebbero stati degli emeriti imbecilli perché in una nave è facile che ci fossero delle persone e quindi i troiani avrebbero controllato, mentre un cavallo di legno è meno probabile che venga controllato.Sign Majrani quel "ehm" che mette all'inizio del suo intervento, esprime una certezza assoluta sul periodo omerico.Le ricordo che Omero (se mai sia esistito)ha scritto in greco classico (800 a.C.) e non in lineare a o b (periodo della guerra di Troia e dell'odissea, cioè 1200 a.C.).
      falso Antonio

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