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venerdì 8 luglio 2016

Archeologia. Taquisara, un villaggio di epoca nuragica incastonato nelle vette d'Ogliastra, al centro della Sardegna.

Archeologia. Taquisara, un villaggio di epoca nuragica incastonato nelle vette d'Ogliastra, al centro della Sardegna.
di Pierluigi Montalbano

Insieme a un gruppo di amici del luogo, mi trovo al centro della Sardegna, nel piccolo centro montano di Gairo Taquisara, sede di uno snodo ferroviario nato come diramazione del percorso Mandas-Arbatax, la più breve linea costruita nella storia dell'intera rete ferroviaria pubblica sarda, inaugurata il 16 novembre 1893. Questa strada ferrata, seppur così breve, rappresentò un enorme progresso per gli abitati di Osini, Ulassai e Jerzu, paesi che all'epoca erano raggiungibili solo con i mezzi a trazioni animale. Cagliari era raggiungibile ora con 9 ore di treno, e non più con dieci giorni di viaggio sui carri o col cavallo. Dalla stazione inizia la nostra passeggiata lungo un sentiero panoramico sulla valle del fiume Taquisara, fino a raggiungere la parte superiore del tacco calcareo, in una zona priva di vegetazione e caratterizzata dalla presenza di grotte naturali. Questo luogo fu visitato fin dall’Ottocento da Alberto Ferrero conte della Marmora, il celebre generale piemontese che combatté al
fianco di Napoleone e fu inviato in Sardegna per realizzare rilievi cartografici dettagliati. La nostra tappa è la località Is Tostoinus, zona caratterizzata dalla presenza di maestosi lecci, dagli insediamenti nuragici e dalla presenza di antichi Cuiles, particolari edifici rurali in pietra e legno che furono per secoli le abitazioni dei pastori sardi, laddove si fermavano per allevare capre, pecore e maiali. Attraversando il tacco calcareo coperto da un bosco di leccio, si giunge in cima alla montagna, dove troviamo l’area sacra Perdu Isu.

L’ambiente circostante, panoramico, silenzioso, immerso nel verde che si fa spazio fra le rocce, suggerisce un luogo ideale per predisporre un santuario. Si nota un ripostiglio a cisterna, profondo circa due metri e, a pochi metri, troviamo una serie di strutture cieche, forse funzionali alla conservazione di derrate alimentari da dedicare alle divinità del cielo. I riti celebrati sono avvolti dal mistero, e solo una prossima campagna di scavo potrà chiarire qualche dettaglio. Una roccia a strapiombo, costellata da immensi menhir naturali che donano al luogo un alone di magia, domina la vallata scistosa del Riu Pardu.

La nostra ricognizione archeologica inizia lungo la strada comunale Perdu Isu, in prossimità di una diga che genera il laghetto artificiale Genna Orruali. Un lungo sentiero sterrato, percorribile con piccoli fuoristrada, conduce al capanno Is Tostoinus, realizzato su una sorgente a quasi 1000 metri di altezza sul mare. E’ la meta ideale per una escursione naturalistica fra piante secolari e sorgenti, un paradiso terrestre incastonato nelle rocce. 

Proseguiamo a piedi per un centinaio di metri fino a una lunga struttura muraria rettilinea diroccata, probabilmente la recinzione di un arcaico villaggio. In assenza di fonti scritte che raccontano la destinazione d’uso del luogo, ci troviamo davanti a una linea di pietre sovrapposte, mute testimoni di un insediamento nuragico di confine fra Gairo e Ussassai. A ridosso di una piccola scarpata che si affaccia su un ruscello troviamo un poderoso nuraghe realizzato con grosse pietre sistemate a secco. E’ un edificio imponente, alto poco meno di dieci metri, e consente una parziale interpretazione solo dall’alto. Dalla parete esterna saliamo sul terrazzo e notiamo che si tratta di un nuraghe imploso, forse a causa di smottamenti causati poco più a valle dal passaggio del torrente che, nella stagione piovosa, s’ingrossa notevolmente grazie all’apporto di una serie di rivoli provenienti dai picchi rocciosi circostanti. L’ingresso è esposto a sud-sud est, per catturare la maggior quantità di luce possibile, e proprio un cedimento strutturale alla base dell’ingresso ha provocato il crollo a valle di parte del nuraghe, con conseguente sfascio di tutta la parte alta che ha ricoperto il piccolo cortile interno. 

In questo, non apprezzabile perché completamente otturato dal crollo, si nota l’apertura tronco ogivale, architravata. Al lato sinistro dell’ingresso si apre una scala ogivale che gira interna alla struttura e conduce al piano superiore, completamente crollato ma con tracce visibili dei conci del piano del calpestio. Il diametro interno di questo ambiente, oggi assente ma che un tempo sovrastava il piano inferiore del nuraghe, doveva essere di circa 2.5 metri. Il cortile, misurato empiricamente a passi, supera gli 8 metri, e forse sotto il crollo sarà possibile, con un’adeguata campagna di scavo, trovare tracce di frequentazione che facciano luce sulla funzione di questo poderoso edificio. Perfettamente posizionate a formare angoli di 90° rispetto all’ingresso si notano le cuspidi di tre grandi nicchie, forse funzionali agli ingressi per torri laterali, purtroppo completamente interrate e intuibili solo dal terrazzo superiore. Giudicando dalla tecnica costruttiva, dalla geometria dell’ingresso e dal posizionamento geografico, si può prudentemente inquadrare questo nuraghe  appartenente alla tipologia di quelli del XIV a.C., ma si dovranno attendere opportune verifiche sui materiali per confermare questo dato. Il grande edificio è in “comunicazione visiva” con altri nuraghi posti a coronamento della vallata. A qualche decina di metri si trova la zona funeraria, proprio lungo la rete di confine fra Gairo e Ussassai. La tomba principale, distrutta dai tombaroli, mostra un corridoio funerario affacciato a sud/sud-ovest, lungo internamente 13 metri, pareti a ogiva crollate e facciata a esedra, costruita con muro a sacco, che racchiude idealmente una piazzetta con diametro di 13 metri. Si nota la ricerca dell’eleganza nelle proporzioni. Intorno a questa tomba di giganti se ne notano altre, più piccole, in un’area di qualche centinaio di metri quadrati. Oltrepassata la zona funeraria, procedendo verso nord-ovest lungo il bordo del rio Flumini de Tula, a circa 900 metri di altezza s.l.m., si giunge fino al villaggio, diviso in due settori, uno abitativo e l’altro artigianale.  

Decine di capanne circolari, e qualcuna rettangolare, si confondono fra le rocce naturali, in un bosco di lecci che ricopre completamente tutto il sito. Fra le altre, le più significative sono due grandi strutture circolari, con diametro interno superiore ai sei metri, che saranno oggetto di indagine archeologica grazie all’interessamento della soprintendenza. Potrebbe trattarsi di due edifici dedicati alla lavorazione degli alimenti o a qualche fase della filiera dedicata alla produzione ceramica. Non si può escludere che le due grandi capanne fossero funzionali alla vita civile, ossia pubbliche. Si conoscono altre capanne con questa funzione presenti nei principali siti nuragici sardi: le capanne delle riunioni. Sono luoghi dotati di sedile in pietra nel perimetro interno della sala, così da consentire una comoda partecipazione alle assemblee della comunità. Uno scavo sistematico ci illuminerà sulla reale attività svolta in questi edifici, ma una domanda nasce spontanea: “Perché una città con decine di capanne abitative, il torrente, un nuraghe, varie sorgenti, un santuario in vetta, una zona funeraria e una grande zona artigianale è stata realizzata a mille metri di quota? Cosa si nasconde di così prezioso nel territorio circostante, tanto da convincere quelle antiche genti  alla predisposizione di un piano urbanistico così articolato, concentrato dietro le vette d’Ogliastra? Qualche indizio lo abbiamo: la zona è ricca di metalli pregiati come zinco, piombo, ferro e argento. 

Sappiamo tutti che nel periodo nuragico i metalli erano la fonte di ricchezza più importante, e le genti più intraprendenti davano vita a reti commerciali in grado di distribuire con profitto questi materiali. Ecco, allora, che Taquisara potrebbe essere uno di quei luoghi nei quali iniziava la filiera mineraria, con l’estrazione dai giacimenti, la trasformazione in prodotto lavorabile e la commercializzazione verso i villaggi costieri per l’imbarco su navi che percorrevano le vie marittime del Mediterraneo, da oriente a occidente…passando per la Sardegna.

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