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venerdì 13 gennaio 2017

Archeologia. Intervista a Pierluigi Montalbano, curatore del progetto Honebu. Discussione curata da Alessandro Demontis

Archeologia. Intervista a Pierluigi Montalbano, curatore del progetto HONEBU
di Alessandro Demontis


Con grande piacere presento qui una breve intervista che ho sottoposto a Pierluigi Montalbano, scrittore e divulgatore cagliaritano, responsabile del colossale progetto Honebu che comprende, fra le altre attività, un’associazione culturale e un quotidiano di storia e archeologia visitato da oltre 2000 lettori ogni giorno. Ringraziandolo per la disponibilità e celerità nel partecipare all'intervista, invito tutti coloro che fossero interessati a conoscere la nostra terra, la Sardegna, dal lato storico e archeologico, a consultare le pagine del sito http://pierluigimontalbano.blogspot.it

Buongiorno Pierluigi, presentati a chi non ti conosce, e presenta anche Honebu.
Sono uno studioso di antichità, di quel mondo che i nostri avi hanno popolato e nel quale hanno lasciato tracce indelebili. Questa passione per la storia antica muove la mia quotidianità spingendomi a preparare progetti dedicati alla divulgazione scientifica di ciò che studio. Gli articoli che scrivo hanno necessità di un luogo facilmente accessibile ad altri appassionati, ed è
per questo motivo che ho creato l’associazione culturale Honebu e un quotidiano che ospitano argomenti storici e archeologici e creano le condizioni per avviare un dibattito su quel grande mosaico in continuo divenire che è il nostro passato. L’associazione Honebu è un luogo dove gli studiosi incontrano il grande pubblico e si confrontano su temi che solleticano la ricerca di nuovi indizi. Parliamo di torri, sepolcri, ceramiche, traffici commerciali, religiosità e tanti altri argomenti, a volte legati alla pubblicazione di libri o alla produzione di documentari.

Ho visto che il vostro portale é dedicato in gran parte alla Sardegna, alla sua storia, alla sua lingua, alla sua archeologia. Come vi collocate nella (spinosa) diatriba tra accademici, specialmente museali, e i vari moderni revisionisti della protostoria e storia della nostra isola?
Seguo le indicazioni accademiche per la costruzione di ogni articolo perché ritengo che seguire il cosiddetto metodo scientifico sia il sistema più efficace per limitare gli errori grossolani e condurre a buon porto un’indagine storica. Gli accademici non sono esenti da errori o interpretazioni che prestano il fianco a critiche, ma il loro modo di operare è indubbiamente quello che consente di avvicinarsi gradualmente e inesorabilmente alla verità. Fra i revisionisti ci sono elementi che hanno avuto buone intuizioni e si sono dimostrati all’altezza del compito da svolgere, tuttavia in questo grande gruppo di studiosi si annidano personaggi che non hanno le basi culturali per individuare un sentiero logico e per scovare le insidie di una ricerca. Il metodo più sicuro è quello di incrociare le fonti letterarie, architettoniche, artigianali e artistiche, e solo dai dati che scaturiscono da quell’incrocio provare a fornire un’interpretazione.

Ti va di raccontare ai non sardi per sommi capi, ma senza limiti in termini di quante e quali parole usare, il percorso evolutivo della Sardegna e dei suoi popoli?
Saltando a piè pari il Paleolitico e il Mesolitico per le scarse indicazioni fornite dalla ricerca, direi che il Neolitico offre un panorama assai dettagliato del percorso evolutivo dei nuclei familiari che si sono insediati stabilmente nell’isola e hanno iniziato a manipolare l’ambiente per sopravvivere. Riuscirono a creare le condizioni per uno sviluppo demografico lineare, incrementando la produzione alimentare e avviando un processo di scambi commerciali interessante. Già nel sesto millennio a.C. abbiamo degli insediamenti costieri, dove si notano anfore che riportano al culto della Dea Madre (impressa nelle anse dei vasi) e a una moda decorativa che vede nella conchiglia Cardium lo strumento per realizzare delle incisioni seghettate nelle ceramiche. Questa forma artistica è contemporanea a quella presente nel resto del Mediterraneo, e testimonia una cultura diffusa a largo raggio che ha rapporti frequenti dovuti, soprattutto, allo scambio di materiali in selce e ossidiana, l’oro nero dell’antichità. Questa pietra vulcanica presenta una caratteristica utilissima in quei tempi: lavorata con cura, diventa molto tagliente e utilizzabile per attività come la caccia, la macellazione e la preparazione dei manufatti in pelle. Fino alle età dei metalli, notiamo in Sardegna un processo evolutivo privo di cesure, con popolazioni che vivono pacificamente occupando le zone costiere, le vallate ricche d’acqua e le pianure coltivabili. La religiosità mostra una specializzazione verso un culto dedicato ai defunti, con la preparazione di sepolcri finemente lavorati adatti a ospitare il corpo e il corredo. Queste grotticelle scavate nella roccia prendono il nome di Domus de Janas. Possono essere ipogeiche, le più antiche, o realizzate in zone collinari. Hanno la caratteristica di presentare un portello di ingresso perfettamente verticale e lavorato con cura. In questi sepolcri non è raro notare la presenza di simboli come cerchi concentrici, spirali, false porte dell’aldilà e teste di toro scolpite nelle pareti interne. Con l’avvento dei metalli la società non subisce delle modifiche rilevanti, si nota solo una specializzazione delle attività e un aumento demografico che comporta una gerarchizzazione dovuta al fatto che chi si occupava delle miniere non aveva il tempo di produrre cibo per se e la famiglia. L’organizzazione degli insediamenti prevede che ci siano persone che si dedicano ad attività specifiche come la cura dei canali d’irrigazione, altri che costruiscono le capanne, e chi, invece, produce alimenti. Penso che ogni comunità avesse il suo leader, un individuo capace di prendere decisioni efficaci sulla divisione del lavoro e sulla distribuzione degli alimenti. I problemi giunsero quando ci si dovette occupare della sicurezza perché si sa, i guerrieri hanno sempre il coltello dalla parte del manico, e farseli nemici non giova alla sicurezza della comunità. Direi che i privilegi per questa categoria, oggi come allora, non mancavano. Nell’età del Bronzo, ossia nel secondo millennio a.C., questa divisione del lavoro raggiunse i massimi livelli, con la realizzazione di migliaia di torri fino a tre piani sovrapposti che comportarono delle organizzazioni di lavoro per le quali le comunità investirono immense risorse. E’ la bella età dei nuraghi, un periodo segnato da avvenimenti che sono oggi oggetto di dibattito, anche serrato, fra studiosi. E’ l’epoca delle grandi guerre nel Vicino Oriente, con i Faraoni egizi impegnati nei tentativi, a dir la verità non sempre efficaci, di dominare il mondo. Ritengo probabile che i nuragici abbiano avuto rapporti di vario genere con gli imperi che guerreggiavano nei pressi dell’Egitto. A partire dal X a.C. in Sardegna si notano cambiamenti notevoli. Non si costruiscono più nuraghi, c’è una proliferazione di villaggi costieri attrezzati con mercati, il rito funerario abbandona le monumentali tombe di giganti per dedicarsi a piccoli sepolcri individuali realizzati con semplici fosse scavate nel terreno, di difficile individuazione e oggetto di distruzione durante i lavori agricoli. E’ l’età dei Fenici, i mercanti che svolsero nel Mediterraneo il compito di distribuire merci, uomini e tecnologie costruendo, di fatto, il primo mondo globalizzato dell’antichità.

Nel sito compaiono centinaia di articoli, la mole di materiale presentata ha dell'incredibile e i contenuti, devo dirlo, sono di alta qualità. Una vita dedicata allo studio e alla divulgazione. Ho notato anche articoli di terzi, ti avvali di collaboratori abituali, o é tutto frutto del tuo lavoro e selezioni tu il materiale di terzi da integrare in Honebu?
Il quotidiano di archeologia è aperto a tutti gli studiosi che vogliono mettere le loro competenze al servizio della divulgazione scientifica. Naturalmente ho l’onere di filtrare il materiale, e scarto gli articoli che non hanno un fondamento di archeologia, ossia prove documentate come reperti o fonti letterarie affidabili.

Che impressione hai dell'interesse nei confronti della storia e archeologia della nostra isola da parte di studiosi italiani e non?
La Sardegna ha una storia millenaria ricca di tracce. Miniere di rame e argento, giacimenti di ossidiana, sepolcri monumentali, nuraghi, statue in pietra a tutto tondo a grandezza naturale, bronzetti e tanto altro. E’ naturale che l’attenzione degli studiosi si è concentrata sulla nostra isola. Dopo tanti anni di mistero iniziamo a vedere la luce.

Avete una controparte cartacea, o comunque più classica, non 'online' diciamo, con cui arrivare a chi non ha facile accesso a internet? (Mi vengono in mente gli appassionati di una certa età, persone di altre generazioni che difficilmente si informano sulla rete)
Ho scritto 7 libri divulgativi che trattano l’archeologia, e non ho mai pensato a una versione cartacea del quotidiano. Questa disciplina è aperta a modifiche, anche sostanziali, a ogni scavo, e i tempi per la pubblicazione cartacea degli articoli non consentono di stare al passo con l’attualità. Con un libro, invece, si riesce a realizzare un lavoro di sintesi a largo raggio.

Ti do carta bianca: spiega ai lettori perché, secondo te, vale la pena studiare e approfondire la storia e l'archeologia (ma anche la linguistica) sarde.
La conoscenza del passato è un argomento intrigante, e il suo studio consente di rispondere a una delle domande più oscure della nostra esistenza: chi siamo e da dove veniamo. Solo studiando possiamo affrontare il futuro con coscienza e consapevolezza.

Ti ringrazio della disponibilità, Pierluigi. Prossimi progetti? Argomenti caldi che tratterai a breve?
Ho in preparazione uno studio sui bronzetti, ma la pubblicazione non sarà disponibile prima del 2018.


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